Comunicazione |
Le persone sono soggetti comunicanti così come sono pensanti, emotivi e sociali. La comunicazione non è semplicemente mezzo e strumento d'interazione, ma una dimensione psicologica costitutiva dell'essere umano. Essendo un'attività intrinsecamente sociale, la comunicazione presenta vari aspetti. E, anzitutto, elaborazione e attribuzione di significati (aspetti cognitivi), è ostensione più o meno consapevole di stati interni (aspetti intenzionali ed emotivi), è definizione di sé, degli altri e della relazione interpersonale nella costruzione delle condizioni di benessere o di disagio mentale (aspetti clinici), è partecipazione e condivisione dei percorsi di senso, delle norme e dei processi di decisione (aspetti sociali), è manifestazione dei sistemi di credenze, di valori e di pratiche di una comunità (aspetti culturali). Pur essendo un'attività eminentemente sviluppata nella specie umana, la comunicazione non è esclusiva della nostra specie, ma appartiene anche a numerose altre specie animali, soprattutto quelle dotate di un'organizzazione sociale forte. Tale evidenza implica l'esigenza di esaminare l'evoluzione della comunicazione, di analizzare e riconoscere le sue radici filogenetiche, nonché di studiare e comprendere i processi e le modalità comunicative distintive presso gli animali, in particolare presso i primati non umani. Al riguardo, sono stati sottolineati i numerosi e profondi rapporti che esistono fra le capacità cognitive e sociali degli animali (quali la categorizzazione degli oggetti, la rappresentazione mentale degli eventi, la costruzione e l'impiego di strumenti, la competenza nel prevedere le azioni altrui, la capacità di riconoscere gli individui della propria comunità e le relazioni di parentela, l'abilità nello stabilire coalizioni e alleanze per la competizione e così via) e la comunicazione. In particolare, si è osservato che i primati non umani (ma anche altre specie) sono capaci di comunicazione referenziale (intesa come capacità di riferirsi a un oggetto o evento esterno in modo da identificarlo con precisione rispetto a possibili alternative) e di comunicazione intenzionale (intesa come capacità d'inviare segnali in funzione di uno scopo e con un certo grado di flessibilità nei mezzi espressivi per raggiungerlo), ma non dispongono di una teoria esplicita della mente altrui (intesa come capacità di «leggere» la mente dei consimili, nonché d'interpretare, spiegare e prevedere il loro comportamento). La comunicazione, pur essendo stata affrontata a vario titolo fin dall'antichità da parte di filosofi, retori e poeti, è diventata oggetto di studio da parte delle scienze umane - psicologia, sociologia, antropologia, pedagogia, ecc. - solo nella seconda metà del '900 a seguito dell'esplosione del concetto di «informazione». Da allora la comunicazione è stata interpretata alla luce di differenti paradigmi teorici. In primo luogo, è emersa la teoria matematica della comunicazione, intesa come trasmissione d'informazioni. L'obiettivo è quello di esaminare le condizioni del passaggio di una informazione da un emittente a un ricevente. Contemporaneamente si è sviluppata la prospettiva semiotica e semantica della comunicazione. La semiotica, in quanto studio dei segni, affronta in modo esplicito il processo di significazione, inteso come processo di produzione dei significati. Fin dall'antichità è stato tramandato il cosiddetto «diagramma della significazione», composto da tre termini: 1) l'espressione (o segno o simbolo, che consiste in un'immagine acustica o iconica di un oggetto o evento come /cane/), 2) la referenza (o rappresentazione mentale, che consiste in un'immagine mentale, schema o concetto come l'idea di «cane»), 3) il referente (che è dato dall'oggetto o evento nella sua realtà fisica come un certo cane). Non esiste un rapporto diretto fra espressione e referente, in quanto ciò costituirebbe un errore sistematico (la cosiddetta «fallacia referenziale»). Ogni rapporto fra espressione e referente è sempre indiretto e mediato dalla referenza e dalla rappresentazione mentale. Entro l'approccio semiotico è stato approfondito il concetto di «segno», inteso come unità minima di comunicazione. In particolare, sono state proposte due concezioni: segno come equivalenza, e segno come inferenza. La prima si ricollega alla definizione di F. de Saussure (1916), secondo cui il segno è l'unione di un'immagine acustica o iconica (il «significante») e un'immagine mentale (il «significato»). Così definito, il segno presenta le proprietà dell'arbitrarietà (non è motivato dal referente ed è convenzionale in quanto elaborato da una certa comunità) e dell 'oppositivita (ogni segno si oppone a tutti gli altri segni di una certa lingua, come /pera/ si oppone a /vera/, /cera/, /nera/, /sera/, ecc.). La seconda concezione rimanda alla filosofia di Ch. Peirce (1868), per il quale il segno è «qualcosa che per qualcuno sta al posto di qualcosa d'altro sotto qualche rispetto o capacità». Così definito, il segno costituisce un indice comunicativo e una traccia da cui fare le opportune inferenze attraverso il ragionamento pratico, e ha inoltre una funzione di rimando (il fumo rimanda al fuoco, le nuvole nere rimandano alla pioggia, ecc.). Il segno come indice comporta la presenza di modelli mentali in base ai quali i soggetti riescono a fare le opportune inferenze mediante il ragionamento pratico. Né la prospettiva matematica né quella semiotica e semantica sono state, tuttavia, in grado di spiegare fino in fondo la comunicazione umana. A partire all'incirca dagli anni '60 l'approccio pragmatico ha esaminato, in particolare, l'uso dei significati, gli effetti da essi prodotti, nonché i complessi rapporti fra testo e contesto. J. Austin (1962) con la teoria degli atti linguistici ha posto in evidenza il fatto che «dire qualcosa è anche sempre fare qualcosa», e ha distinto la produzione linguistica in tre tipi di atti: a) locatori (atti di dire qualcosa), b) illocutori (atti compiuti nel dire qualcosa come asserire, comandare, promettere, ecc.) e c) perlocutori (atti compiuti con il dire qualcosa e che consistono negli effetti sul destinatario). J. Searle (1979) ha approfondito questa prospettiva attraverso il concetto di forza illocutoria (l'efficacia complessiva di una frase), di effetti perlocutori, di atti linguistici diretti (atti in cui la forza illocutoria dipende da ciò che si dice) e indiretti (atti in cui la forza illocutoria dipende dagli aspetti non verbali come il tono della voce e i gesti). A sua volta, H. Grice (1975) amplia la prospettiva pragmatica introducendo la distinzione fra significato naturale (per esempio, il fumo «significa» presenza di fuoco) e significato convenzionale (o significato n-n, inteso come il voler dire qualcosa da parte del parlante a qualcun altro). Il successo della comunicazione si fonda sul «principio di cooperazione», definito da Grice come il dare il proprio contributo al momento opportuno, così com'è richiesto dagli scopi e dall'orientamento della conversazione in cui si è impegnati. Tale principio si declina concretamente in quattro massime: a) massima di quantità (1. dai un contributo che soddisfi la richiesta d'informazioni in modo adeguato; 2. non fornire un contributo più informativo del necessario); b) massima di qualità (cerca di fornire un contributo vero; in particolare, 1. non dire ciò che credi falso; 2 . non dire ciò per cui non hai prove adeguate); c) massima di relazione (sii pertinente); d) massima di modo (sii perspicuo; in particolare, 1. evita espressioni oscure; 2. evita le ambiguità; 3. sii breve; 4. sii ordinato nell'esposizione). Su questa piattaforma Grice procede all'ulteriore distinzione fra ciò che è detto e ciò che è significato, poiché «dire» e «comunicare» non coincidono fra loro. Per cogliere lo scarto fra questi due livelli i soggetti compiono ciò che Grice definisce «implicature conversazionali» (ossia, l'impegno semantico del destinatario di andare oltre il significato letterale di un enunciato per cogliere l'intenzione comunicativa del parlante). Per esempio, l'enunciato «Mario finirà il lavoro domani» implica che egli non ha ancora finito il lavoro. In quanto tali, le implicature sono cancellabili (si possono dissolvere se si aggiungono altre premesse a quelle originali), calcolabili (si possono inferire in base alle massime), non distaccabili (sono attaccate al significato dell'enunciato, non alla forma sintattica) e non convenzionali (sono negoziate di volta in volta in funzione del contesto d'uso). La concezione di Grice costituisce un punto di riferimento fondamentale per la contemporanea psicologia della comunicazione. Dopo di lui gli studiosi si divideranno in neogriceani, postgriceani, antigriceani. Qui si farà riferimento soltanto a due ulteriori sviluppi. Il primo riguarda il «modello ostensivo-inferenziale» proposto da D. Sperber e D. Wilson (1986). Essi partono dalla comunicazione come ostensione e dal concetto di «essere manifesto» (un fatto è «manifesto» a un soggetto se e solo se egli è capace di rappresentarselo mentalmente e di accettare tale rappresentazione come vera). Inoltre, introducendo la distinzione fra intenzione informativa (informare il destinatario di qualcosa) e intenzione comunicativa (informare il destinatario sulla propria intenzione informativa), precisano il concetto di «mutuo ambiente cognitivo» fra i comunicatori e propongono il «principio di pertinenza» come principio unico e universale per la comunicazione. Tale principio sottolinea la competenza del soggetto nell'indi-viduare il percorso comunicativo più appropriato ed efficace rispetto alle condizioni contingenti del contesto. Esso si fonda sull'inferenza non dimostrativa ed è di natura qualitativa, andando da un minimo a un massimo, fino a giungere alla cosiddetta «pertinenza ottimale», dove gli interagenti si dimostrano capaci di generare dei progressi nel loro scambio comunicativo. Il secondo sviluppo postgriceano degno di attenzione è dato dal costruzionismo sociale, che, estendendo il costruttivismo personale di G. Kelly e quello sociale di P. Berger e Th. Luckmann, sottolinea il processo di costruzione della realtà attraverso la conoscenza e la comunicazione. Aderendo alla prospettiva della psicologia postmoderna, il costruzionismo sociale pone in evidenza il primato delle pratiche sociali e conversazio-nali come fonte di conoscenza. Ciò conduce alla consapevolezza della molteplicità dei modi in cui «il mondo» può essere costruito e «spiegato». In particolare, si pone l'attenzione sullo studio delle pratiche discorsive come l'analisi del discorso e l'analisi della conversazione, poiché si ritiene che soprattutto il linguaggio e la conversazione siano potenti dispositivi comunicativi per la costruzione interpersonale della realtà. Assieme alle prospettive semiotica, semantica e pragmatica si è altresì sviluppato, nell'ambito della comunicazione, l'approccio psicologico, che ha inteso la comunicazione come dimensione fondativa dell'identità personale e della posizione sociale di ogni soggetto. Fra i primi, G. Bateson (1972), partendo dalla distinzione fra «notizia» (ciò che è detto, i contenuti dell'enunciato) e «comando» (l'indicazione di come intendere e interpretare ciò che è detto), ha proposto l'ulteriore distinzione fra comunicazione (gli scambi comunicativi effettivamente compiuti) e metacomunicazione (la comunicazione che ha come oggetto la comunicazione stessa). Sulla base di queste premesse, la comunicazione, in quanto tessuto interpersonale che crea, mantiene, modifica e rinnova i legami relazionali, produce e sostiene la definizione di sé e dell'altro. In ogni messaggio è implicita una dichiarazione del tipo: «Ecco come mi vedo» e nello stesso tempo: «Ecco come ti vedo». In questa prospettiva gli scambi comunicativi, che generano nel tempo una spirale di messaggi in continua evoluzione, sono alla base della costruzione dei giochi psicologici, che si tratti di conflitti o di situazioni di cooperazione, di competizione o di dipendenza. L'articolazione e la diversità dei paradigmi teorici pongono in evidenza come le scienze della comunicazione, nel volgere di pochi decenni, abbiano saputo approfondire lo studio della comunicazione. Particolare attenzione è stata riservata alla comprensione del significato come concetto cardine di tutta la comunicazione e come vincolo per la mente umana nell'impegno a spiegare e comprendere gli oggetti e gli eventi dell'esistenza. Sono numerosi e diversi i paradigmi teorici sul significato. Anzitutto, G. Frege e il Circolo di Vienna hanno sviluppato la cosiddetta «semantica vero-condizionale» (o «modellistica»), e hanno inteso il significato come l'insieme delle condizioni di verità nello stabilire uno specifico rapporto fra linguaggio e realtà. Capire l'enunciato: «Le petunie bianche del balcone sono finalmente fiorite» non ha nulla a che vedere con la verità o falsità di tale enunciato, ma implica solo capire come sarebbero le cose se esse fossero così. Le condizioni di verità sono di natura linguistica e sono le caratteristiche che un certo stato di cose, all'interno di un mondo (reale o possibile), deve possedere affinché un enunciato possa essere considerato vero in quel mondo (Carnap, 1947). Partendo da queste premesse, il significato è stato inteso come una realtà scomponibile, formato da un numero limitato di condizioni necessarie e sufficienti. Secondo questa semantica a tratti, il significato di «uomo» è l'insieme dei seguenti tratti semantici:ANIMATO & UMANO & MASCHIO & ADULTO. Tale modello prevede che: a) nessun tratto possa essere cancellato in quanto necessario; b) nessun tratto possa essere aggiunto; e) tutti i tratti abbiano la medesima rilevanza e dignità; d) il significato di qualsiasi termine presenti confini netti e precisi; di conseguenza, il significato è una realtà discreta che esiste nella sua interezza. Questa concezione del significato come un'entità oggettiva, univoca, fissa e universale risulta oggi insostenibile, poiché è stata confutata da una lunga serie di fenomeni comunicativi come la vaghezza semantica dei termini, la polisemia, la presenza di confini sfumati, la gradualità semantica, gli effetti contestuali, ecc. Il secondo modello teorico del significato è dato dalla semantica strutturale di Saussure (1916), secondo cui il significato consiste nel valore dì una data parola. Tale valore è generato dalla possibilità, per ogni parola, di essere confrontata e opposta a qualsiasi altra parola entro la medesima lingua. Il significato è prodotto dal fatto che all'interno di una certa lingua una parola occupa una determinata posizione non occupata da nessun altra parola. In questo modo Saussure rivendica la totale autonomia della semantica, assumendo una prospettiva antireferenzialista e antipsicologica. Tuttavia, essa è inficiata da un vizio di circolarità, poiché, se le parole sono definite in funzione dei rapporti linguistici e i rapporti linguistici sono definiti in funzione delle parole, si cade in un circolo vizioso. Il terzo e più recente modello teorico del significato è stato offerto dalla semantica cognitiva proposta - fra gli altri - da Ch. Filimore (1985), R. Jackendoff (2002) e P. Violi (1997). Il significato concerne il modo in cui i soggetti comprendono ciò che comunicano. Alla semantica della verità si sostituisce la semantica della comprensione, che implica, come vincolo, la plausibilità psicologica. Anziché parlare di conoscenze dizionariali, si parla di conoscenze enciclopediche prodotte dall'esperienza personale e dall'appartenenza a una data cultura. Il significato rimanda alle rappresentazioni mentali, ai concetti, agli script con cui i soggetti comprendono e descrivono la realtà. La semantica a tratti è integrata dalla semantica del prototipo. In un primo momento il prototipo era stato definito come il migliore esemplare di una data categoria (teoria standard). Tuttavia, tale modello, che confondeva i concetti di rappresentatività e dì appartenenza a una categoria, è stato successivamente modificato da una nuova concezione, secondo cui il prototipo è l'insieme di proprietà astratte. Il significato è quindi generato dalla combinazione delle proprietà essenziali (ossia, le proprietà comuni a tutti i membri di una categoria; per esempio, per gli uccelli «essere oviparo» e «avere il becco») con le proprietà tipiche (proprietà specifiche e aggiunte, cancellabili e soggette a eccezioni; per esempio, per gli uccelli «avere le piume», «avere le ali», «essere capace di volare», ecc.). Alla luce di questi modelli, oggi il significato è inteso come un'entità eterogenea, scomponibile e complessa, generata contemporaneamente da una molteplicità di sistemi di significazione. Assieme al linguaggio, vi sono i sistemi non verbali (extralinguistici) che entrano in funzione e che comprendono il sistema vocale paralinguistico (tono, intensità e velocità della voce), il sistema cinesico (mimica facciale, sguardo, gesti e postura, prossemica e aptica), nonché la cronemica (concernente il ritmo, le pause, il silenzio, ecc.). Ognuno di tali sistemi è in grado - di per sé - di generare dei significati in modo autonomo (per esempio, il significato di uno sguardo, di un gesto o di un certo tono di voce). Tuttavia, essi sono fra loro compatibili e, di norma, agiscono in modo interdipendente e armonico, con il risultato di produrre ciò che si chiama il «significato modale». Quest'ultimo va inteso come il significato prevalente e predominante in una data situazione comunicativa. Tale processo richiede l'intervento dei processi di sintonia semantica e pragmatica, e pone in evidenza la natura contingente del significato. Ciò presuppone una gestione locale del significato nell'attribuzione di diversi pesi semantici alle singole componenti dell'atto comunicativo, in modo da consentire una sua attenta calibrazione situazionale. Il concetto di significato modale, proposto da L. Anolli (2003), rende possibile spiegare e realizzare l'efficacia comunicativa nelle condizioni più diverse, dalla comunicazione seduttiva, a quella ironica, a quella menzognera, a quella persuasiva. Il significato modale, inoltre, implica la presenza di un certo grado d'intenzionalità sia nel parlante sia nel destinatario. Senza la presenza di qualche forma d'intenzione non si ha comunicazione, ma solo la manifestazione di un comportamento. Comunicazione e comportamento sono realtà distinte. Nel parlante vi sono diversi livelli d'intenzione, come l'intenzione informativa (voler dire una certa cosa), quella manifesta (o espressa), quella nascosta (o implicita: per esempio, nella seduzione o nella menzogna), quella globale che riguarda l'atto comunicativo nella sua totalità. Anche il destinatario agisce in modo intenzionale e con un certo grado di consapevolezza. Lungi dall'essere passivo e semplice ricevente nello scambio comunicativo, egli procede attivamente a inferire, attraverso il ragionamento pratico, l'intenzione comunicativa dell'interlocutore e ad attribuirvi un certo significato. Tale attribuzione semantica comporta il superamento della distinzione fra significato letterale e significato figurato, poiché è sempre questione di scelta a quale livello semantico si decide di operare (Anolli, 2006). Le applicazioni della psicologia della comunicazione sono assai vaste e differenziate. Esse vanno dalla psicologia medica (per la gestione dell'interazione medico/paziente) e clinica (per la comprensione dei giochi psicotici e della comunicazione paradossale e per la realizzazione del trattamento psicoterapeutico), alla psicologia dei gruppi (per lo studio della comunicazione nei e fra i gruppi come fattore di coesione, di appartenenza e d'influenza sociale, strumento per la presa di decisione, condizione della leadership, analisi degli stereotipi e dei pregiudizi sociali, ecc.), alla comunicazione politica, alla comunicazione pubblicitaria e persuasiva in generale, ai mass media e ai nuovi media. Rientra in questo ambito anche lo studio del pettegolezzo. Alla luce di quanto brevemente sintetizzato, si può definire la comunicazione come lo scambio interattivo osservabile fra due o più partecipanti, dotato di un certo grado d'intenzionalità e governato da un certo livello di consapevolezza, in grado di far condividere all'interno di uno specifico contesto un determinato significato sulla base di sistemi simbolici e convenzionali di significazione e di segnalazione secondo la cultura di riferimento. Come si vede, la comunicazione è una realtà complessa e fondamentale, che è stata messa al centro dell'attenzione scientifica in tempi recenti, e che attraversa tutta l'esistenza umana nelle sue diverse forme individuali e sociali. Oggi, e ancor di più domani, la comunicazione rappresenta una sfida per la psicologia e per le altre scienze umane, al fine di giungere a una comprensione sempre più estesa, valida e attendibile dell'enorme gamma dei fenomeni e processi comunicativi. La comunicazione, infatti, costituisce il legame interpersonale, sociale e culturale alla base del benessere o del disagio soggettivo, è il dispositivo dell'influenza umana reciprocamente orientata, è genesi e manifestazione di nuove forme e modelli culturali, attraverso il significato è comprensione del comportamento, attraverso l'esperienza è costruzione del Sé e dell'identità personale. LUIGI ANOLLI |